Didone abbandonata, Torino, Reale, 1757, I

 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Appartamenti reali con tavolino.
 
 IARBA ed OSMIDA
 
 OSMIDA
 Signore, ove ten vai?
 Nelle mie stanze ascoso
 per tuo, per mio riposo io ti lasciai.
 IARBA
600Ma sino al tuo ritorno
 tollerar quel soggiorno io non potei.
 OSMIDA
 In periglio tu sei, che se Didone
 libero errar ti vede
 temerà di mia fede.
 IARBA
                                       A tal oggetto
605disarmato io men vo, finché non giunga
 l'amico stuol che a vendicarmi affretto.
 OSMIDA
 Va' pur ma ti rammenta
 ch'io sol per tua cagione...
 IARBA
 Fosti infido a Didone.
 OSMIDA
610E che tu per mercede...
 IARBA
 So qual premio si debba alla tua fede.
 OSMIDA
 
    Pensa che 'l trono aspetto,
 che n'ho tua fede in pegno,
 e che donando un regno
615ti fai soggetto un re,
 
    un re che tuo seguace
 ti sarà fido in pace;
 e se guerrier lo vuoi,
 contro i nemici tuoi
620combatterà per te. (Parte)
 
 SCENA II
 
 IARBA e poi ARASPE
 
 IARBA
 Giovino i tradimenti,
 poi si punisca il traditore. Indegno, (Vedendo Araspe)
 t'offerisci al mio sdegno e non paventi?
 Temerario, per te
625non cadde Enea dal ferro mio trafitto.
 ARASPE
 Ma delitto non è.
 IARBA
                                  Non è delitto!
 Di tante offese ormai
 vendicato m'avria quella ferita.
 ARASPE
 La tua gloria salvai nella sua vita.
 IARBA
630Ti punirò.
 ARASPE
                      La pena,
 benché innocente, io soffrirò con pace,
 che sempre è reo chi al suo signor dispiace.
 IARBA
 (Hanno un'ignota forza
 i detti di costui
635che m'incatena e parmi
 ch'io non sappia sdegnarmi in faccia a lui).
 Odi, giacché al tuo re
 qual ossequio tu debba ancor non sai,
 innanzi a me non favellar giammai.
 ARASPE
640Ubbidirò.
 
 SCENA III
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                      Chi sciolse,
 barbaro, i lacci tuoi? Tu non rispondi?
 Dell'offesa reina il giusto impero
 qual folle ardire a disprezzar t'ha mosso?
 Parla, Araspe, per lui.
 ARASPE
                                          Parlar non posso.
 SELENE
645Parlar non puoi! (Pavento
 di nuovo tradimento). E qual arcano
 si nasconde a Selene?
 Perché taci così? (Ad Araspe)
 ARASPE
                                  Tacer conviene.
 IARBA
 Senti. Voglio appagarti.
650Vado apprendendo l'arti (A Selene)
 che deve posseder chi s'innamora;
 nella scuola d'amor son rozzo ancora.
 SELENE
 L'arte di farsi amare
 come apprender mai può chi serba in seno
655sì arroganti costumi e sì scortesi?
 IARBA
 Solo a farmi temer sinora appresi.
 SELENE
 E né pur questo sai; quell'empio core
 odio mi desta in seno e non paura.
 IARBA
 La debolezza tua ti fa sicura.
 
660   Leon, ch'errando vada
 per la natia contrada,
 se un agnellin rimira,
 non si commove all'ira
 nel generoso cor.
 
665   Ma se venir si vede
 orrida tigre in faccia,
 l'assale e la minaccia,
 perché sol quella crede
 degna del suo furor. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 SELENE ed ARASPE
 
 SELENE
670Chi fu che all'inumano
 disciolse le catene?
 ARASPE
 A me, bella Selene, il chiedi invano.
 Io prigioniero e reo,
 libero ed innocente in un momento
675sciolto mi vedo e sento
 fra i lacci il mio signore; il passo muovo
 a suo pro nella reggia e vel ritrovo.
 SELENE
 Ah contro Enea v'è qualche frode ordita.
 Difendi la sua vita.
 ARASPE
                                      È mio nemico.
680Pur se brami che Araspe
 dall'insidie il difenda,
 tel prometto; sin qui
 l'onor mio nol contrasta
 ma ti basti così.
 SELENE
                                Così mi basta. (In atto di partire)
 ARASPE
685Ah non toglier sì tosto
 il piacer di mirarti agli occhi miei.
 SELENE
 Perché?
 ARASPE
                  Tacer dovrei ch'io sono amante;
 ma reo del mio delitto è il tuo sembiante.
 SELENE
 Araspe, il tuo valore,
690il volto tuo, la tua virtù mi piace;
 ma già pena il mio cor per altra face.
 ARASPE
 Quanto son sventurato!
 SELENE
                                             È più Selene.
 Se t'accende il mio volto,
 narri almen le tue pene ed io le ascolto;
695io l'incendio nascoso
 tacer non posso e palesar non oso.
 ARASPE
 Soffri almen la mia fede.
 SELENE
 Sì, ma da me non aspettar mercede.
 Se può la tua virtù
700amarmi a questa legge, io tel concedo;
 ma non chieder di più.
 ARASPE
                                             Di più non chiedo.
 SELENE
 
    Ardi per me fedele,
 serba nel cor lo strale;
 ma non mi dir crudele,
705se non avrai mercé.
 
    Hanno sventura uguale
 la tua, la mia costanza.
 Per te non v'è speranza,
 non v'è pietà per me. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ARASPE solo
 
 ARASPE
710Tu dici ch'io non speri;
 ma nol dici abbastanza.
 L'ultima che si perde è la speranza.
 
    L'augelletto in lacci stretto
 perché mai cantar s'ascolta?
715Perché spera un'altra volta
 di tornare in libertà.
 
    Nel conflitto sanguinoso
 quel guerrier perché non geme?
 Perché gode con la speme
720quel riposo che non ha. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DIDONE con foglio, OSMIDA e poi SELENE
 
 DIDONE
 Già so che si nasconde
 de' Mori il re sotto il mentito Arbace.
 Ma sia qual più gli piace, egli m'offese;
 e senz'altra dimora
725o suddito o sovrano io vo' che mora.
 OSMIDA
 Sempre in me de' tuoi cenni
 il più fedele esecutor vedrai.
 DIDONE
 Premio avrà la tua fede.
 OSMIDA
 E qual premio, o regina? Adopro invano
730per te fede e valore;
 occupa solo Enea tutto il tuo core.
 DIDONE
 Taci; non rammentar quel nome odiato.
 È un perfido, è un ingrato,
 è un'alma senza legge e senza fede.
735Contro me stessa ho sdegno,
 perché finor l'amai.
 OSMIDA
 Se lo torni a mirar, ti placherai.
 DIDONE
 Ritornarlo a mirar! Per finch'io viva,
 mai più non mi vedrà quell'alma rea.
 SELENE
740Teco vorrebbe Enea
 parlar, se gliel concedi.
 DIDONE
 Enea! Dov'è?
 SELENE
                            Qui presso
 che sospira il piacer di rimirarti. (Parte Selene)
 DIDONE
 Temerario! Che venga. Osmida, parti.
 OSMIDA
745Io non tel dissi? Enea
 tutta del cor la libertà t'invola.
 DIDONE
 Non tormentarmi più, lasciami sola. (Parte Osmida)
 
 SCENA VII
 
 DIDONE ed ENEA
 
 DIDONE
 Come! Ancor non partisti? Adorna ancora
 questi barbari lidi il grande Enea?
750E pure io mi credea
 che già varcato il mar, d'Italia in seno
 in trionfo traessi
 popoli debellati e regi oppressi.
 ENEA
 Quest'amara favella
755mal conviene al tuo cor, bella regina.
 Del tuo, dell'onor mio
 sollecito ne vengo. Io so che vuoi
 del moro il fiero orgoglio
 con la morte punire.
 DIDONE
                                        E questo è il foglio.
 ENEA
760La gloria non consente
 ch'io vendichi in tal guisa i torti miei.
 Se per me lo condanni...
 DIDONE
 Condannarlo per te! Troppo t'inganni.
 Passò quel tempo, Enea,
765che Dido a te pensò. Spenta è la face,
 è sciolta la catena;
 e del tuo nome or mi rammento appena.
 ENEA
 Sappi che 'l re de' Mori
 è l'orator fallace.
 DIDONE
770Io non so qual ei sia, lo credo Arbace.
 ENEA
 Oh dio! Con la sua morte
 tutta contra di te l'Africa irriti.
 DIDONE
 Consigli or non desio;
 tu provvedi al tuo regno, io penso al mio.
775Senza di te finor leggi dettai,
 sorger senza di te Cartago io vidi.
 Felice me, se mai
 tu non giungevi, ingrato, a questi lidi!
 ENEA
 Se sprezzi il tuo periglio,
780donalo a me; grazia per lui ti chieggio.
 DIDONE
 Sì, veramente io deggio
 il mio regno e me stessa al tuo gran merto.
 A sì fedele amante,
 ad eroe sì pietoso, a' giusti prieghi
785di tanto intercessor nulla si nieghi.
 Inumano, tiranno, è forse questo
 l'ultimo dì che rimirar mi dei.
 Vieni sugli occhi miei,
 sol d'Arbace mi parli e me non curi.
790T'avessi pur veduto
 d'una lagrima sola umido il ciglio.
 Uno sguardo, un sospiro,
 un segno di pietade in te non trovo.
 E poi grazie mi chiedi?
795Per tanti oltraggi ho da premiarti ancora?
 Perché tu lo vuoi salvo, io vo' che mora. (Sottoscrive il foglio)
 ENEA
 Idol mio, che pur sei
 ad onta del destin l'idolo mio,
 che posso dir? Che giova
800rinnovar co' sospiri il tuo dolore?
 Ah se per me nel core
 qualche tenero affetto avesti mai,
 placa il tuo sdegno e rasserena i rai.
 Quell'Enea tel domanda
805che tuo cor, che tuo bene un dì chiamasti,
 quel che finora amasti
 più della vita tua, più del tuo soglio,
 quello...
 DIDONE
                  Basta, vincesti, eccoti il foglio.
 Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.
810Con un tuo sguardo solo
 mi togli ogni difesa e mi disarmi.
 Ed hai cor di tradirmi? E puoi lasciarmi?
 
    Ah non lasciarmi, no,
 bell'idol mio.
815Di chi mi fiderò,
 se tu m'inganni?
 
    Di vita mancherei
 nel dirti addio,
 che viver non potrei
820fra tanti affanni. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 ENEA e poi IARBA
 
 ENEA
 Io sento vacillar la mia costanza
 a tanto amore appresso
 e mentre salvo altrui perdo me stesso.
 IARBA
 Che fa l'invitto Enea? Gli veggo ancora
825del passato timore i segni in volto.
 ENEA
 Iarba da' lacci è sciolto!
 Chi ti diè libertà?
 IARBA
                                    Permette Osmida
 che per entro la reggia io mi raggiri;
 ma vuol ch'io vada errando
830per sicurezza tua senza il mio brando.
 ENEA
 Così tradisce Osmida
 il comando real?
 IARBA
                                 Dimmi, che temi?
 Ch'io m'involi al castigo o a queste mura?
 Troppo vi resterò per tua sventura.
 ENEA
835La tua sorte presente
 è degna di pietà, non di timore.
 IARBA
 Risparmia al tuo gran core
 questa inutil pietà. So che a mio danno
 della reina irriti i sdegni insani.
840Solo in tal guisa sanno
 gli oltraggi vendicar gli eroi troiani.
 ENEA
 Leggi. La regal donna in questo foglio
 la tua morte segnò di propria mano.
 S'Enea fosse africano,
845Iarba estinto saria. Guarda ed impara,
 barbaro discortese,
 come vendica Enea le proprie offese. (Lacera il foglio)
 
    Vedi nel mio perdono,
 perfido traditor,
850quel generoso cor
 che tu non hai.
 
    Vedilo e dimmi poi
 se gli africani eroi
 tanta virtù nel seno
855ebbero mai. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 IARBA solo
 
 IARBA
 Così strane venture io non intendo;
 pietà nel mio nemico,
 infedeltà nel mio seguace io trovo.
 Ah forse a danno mio
860l'uno e l'altro congiura.
 Ma di lor non ho cura.
 Pietà finga il rivale,
 sia l'amico fallace,
 non sarà di timor Iarba capace.
 
865   Fosca nube il sol ricopra
 o si scopra il ciel sereno,
 non si cangia il cor nel seno,
 non si turba il mio pensier.
 
    Le vicende della sorte
870imparai con alma forte
 dalle fasce a non temer. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Atrio.
 
 ENEA, poi ARASPE
 
 ENEA
 Fral dovere e l'affetto
 ancor dubbioso in seno ondeggia il core.
 Purtroppo il mio valore
875all'impero servì d'un bel sembiante.
 Ah una volta l'eroe vinca l'amante.
 ARASPE
 Di te finora in traccia
 scorsi la reggia.
 ENEA
                               Amico,
 vieni fra queste braccia.
 ARASPE
880Allontanati, Enea, son tuo nemico.
 Snuda, snuda quel ferro; (Snuda la spada)
 guerra con te, non amicizia io voglio.
 ENEA
 Tu di Iarba all'orgoglio
 prima m'involi e poi
885guerra mi chiedi ed amistà non vuoi?
 ARASPE
 T'inganni; allor difesi
 la gloria del mio re, non la tua vita.
 Con più nobil ferita
 rendergli a me s'aspetta
890quella, che tolsi a lui, giusta vendetta.
 ENEA
 Enea stringer l'acciaro
 contro il suo difensore!
 ARASPE
                                             Olà, che tardi?
 ENEA
 La mia vita è tuo dono,
 prendila pur, se vuoi; contento io sono.
895Ma ch'io debba a tuo danno armar la mano,
 generoso guerrier, lo speri invano.
 ARASPE
 Se non impugni il brando,
 a ragion ti dirò codardo e vile.
 ENEA
 Questa ad un cor virile
900vergognosa minaccia Enea non soffre.
 Ecco per soddisfarti io snudo il ferro.
 Ma prima i sensi miei
 odan gli uomini tutti e tutti i dei.
 Io son d'Araspe amico,
905io debbo la mia vita al suo valore.
 Ad onta del mio core
 discendo al gran cimento,
 di codardia tacciato,
 e per non esser vil, mi rendo ingrato. (Cominciano a battersi)
 
 SCENA XI
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
910Tanto ardir nella reggia? Olà, fermate.
 Così mi serbi fé? Così difendi,
 Araspe traditor, d'Enea la vita?
 ENEA
 No, principessa, Araspe
 non ha di tradimenti il cor capace.
 SELENE
915Chi di Iarba è seguace
 esser fido non può.
 ARASPE
                                      Bella Selene,
 poi tu sola avanzarti
 a tacciarmi così.
 SELENE
                                 T'accheta e parti.
 ARASPE
 
    Tacerò, se tu lo brami;
920ma fai torto alla mia fede,
 se mi chiami traditor.
 
    Porterò lontano il piede;
 ma placati i sdegni tuoi,
 so che poi n'avrai rossor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 SELENE ed ENEA
 
 ENEA
925Allor che Araspe a provocar mi venne,
 del suo signor sostenne
 le ragioni con me. La sua virtude
 se condannar pretendi,
 troppo quel core ingiustamente offendi.
 SELENE
930Ah generoso Enea,
 non fidarti così; d'Osmida ancora
 all'amistà tu credi e pur t'inganna.
 ENEA
 Lo so; ma come Osmida
 non serba Araspe in seno anima infida.
 SELENE
935Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
 di favellar di lui; brama Didone
 teco parlar.
 ENEA
                        Poc'anzi
 dal suo real soggiorno io trassi il piede.
 Se di nuovo mi chiede
940ch'io resti in quest'arena,
 invan s'accrescerà la nostra pena.
 SELENE
 Come fra tanti affanni,
 cor mio, chi t'ama abbandonar potrai?
 ENEA
 Selene, a me cor mio!
 SELENE
945È Didone che parla e non son io.
 ENEA
 Se per la tua germana
 così pietosa sei,
 non curar più di me, ritorna a lei.
 Dille che si consoli,
950che ceda al fato e rassereni il ciglio.
 SELENE
 Ah no, cangia, ben mio, cangia consiglio.
 ENEA
 Tu mi chiami tuo bene!
 SELENE
 È Didone che parla e non Selene.
 Se non l'ascolti almeno,
955tu sei troppo inumano.
 ENEA
 L'ascolterò ma l'ascoltarla è vano.
 
    Non cede all'austro irato
 né teme allor che freme
 il turbine sdegnato
960quel monte che sublime
 le cime innalza al ciel.
 
    Costante, ad ogni oltraggio
 sempre la fronte avvezza,
 disprezza il caldo raggio,
965non cura il freddo gel. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 SELENE sola
 
 SELENE
 Chi udì, chi vide mai
 del mio più strano amor, sorte più ria?
 Taccio la fiamma mia
 e vicina al mio bene
970so scoprirgli le altrui, non le mie pene.
 
    Veggio la sponda,
 sospiro il lido
 e pur dall'onda
 fuggir non so.
 
975   Se il mio dolore
 scoprir diffido,
 pietoso amore,
 che mai farò? (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 Gabinetto con sedie.
 
 DIDONE e poi ENEA
 
 DIDONE
 Incerta del mio fato
980io più viver non voglio; è tempo omai
 che per l'ultima volta Enea si tenti.
 Se dirgli i miei tormenti,
 se la pietà non giova,
 faccia la gelosia l'ultima prova.
 ENEA
985Ad ascoltar di nuovo
 i rimproveri tuoi vengo, o regina.
 So che vuoi dirmi ingrato,
 perfido, mancator, spergiuro, indegno.
 Chiamami come vuoi, sfoga il tuo sdegno.
 DIDONE
990No, sdegnata io non sono. Infido, ingrato,
 perfido, mancator più non ti chiamo;
 rammentarti non bramo i nostri ardori;
 da te chiedo consigli e non amori.
 Siedi. (Siedono)
 ENEA
                (Che mai dirà?)
 DIDONE
                                                Già vedi, Enea,
995che fra' nemici è il mio nascente impero.
 Sprezzai finora, è vero,
 le minacce e 'l furor ma Iarba offeso,
 quando priva sarò del tuo sostegno,
 mi torrà per vendetta e vita e regno.
1000In così dubbia sorte
 ogni rimedio è vano.
 Deggio incontrar la morte
 o al superbo african porger la mano.
 L'un e l'altro mi spiace e son confusa.
1005Alfin femmina e sola,
 lungi dal patrio ciel, perdo il coraggio
 e non è meraviglia
 s'io risolver non so. Tu mi consiglia.
 ENEA
 Dunque fuor della morte
1010o il funesto imeneo,
 trovar non si potria scampo migliore?
 DIDONE
 V'era purtroppo.
 ENEA
                                  E quale?
 DIDONE
 Se non sdegnava Enea d'esser mio sposo,
 l'Africa avrei veduta
1015dall'arabico seno al mar d'Atlante
 in Cartago adorar la sua regnante.
 E di Troia e di Tiro
 rinnovar si potea... Ma che ragiono?
 L'impossibil mi fingo e folle io sono.
1020Dimmi, che far degg'io? Con alma forte,
 come vuoi, sceglierò Iarba o la morte.
 ENEA
 Iarba o la morte! E consigliarti io deggio?
 Colei che tanto adoro
 all'odiato rival vedere in braccio?
1025Colei...
 DIDONE
                Se tanta pena
 trovi nelle mie nozze, io le ricuso.
 Ma per tormi agl'insulti
 necessario è il morir. Stringi quel brando,
 svena la tua fedele;
1030è pietà con Didone esser crudele.
 ENEA
 Ch'io ti sveni? Ah più tosto
 cada sopra di me del ciel lo sdegno.
 Prima scemin gli dei,
 per accrescer tuoi giorni, i giorni miei.
 DIDONE
1035Dunque a Iarba mi dono. Olà. (Esce un paggio)
 ENEA
                                                          Deh ferma.
 Troppo, oh dio, per mia pena
 sollecita tu sei!
 DIDONE
                              Dunque mi svena.
 ENEA
 No, si ceda al destino; a Iarba stendi
 la tua destra real; di pace priva
1040resti l'alma d'Enea, purché tu viva.
 DIDONE
 Giacché d'altri mi brami,
 appagarti saprò. Iarba si chiami. (Parte un paggio e un altro porta da sedere per Iarba)
 Vedi quanto son io
 ubbidiente a te.
 ENEA
                                Regina, addio. (Si levano da sedere)
 DIDONE
1045Dove, dove? T'arresta.
 Del felice imeneo
 ti voglio spettatore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core).
 
 SCENA XV
 
 IARBA e detti
 
 IARBA
 Didone, a che mi chiedi?
1050Sei folle se mi credi
 dall'ira tua, da tue minacce oppresso.
 Non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno, o signor. Tu col tacermi
1055il tuo grado e 'l tuo nome
 a gran rischio esponesti il tuo decoro
 ed io... Ma qui t'assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
1060Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi; (Ad Enea)
 troppo lunghe non fian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza, o core). (Siede)
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna, ha da partir costui.
 ENEA
1065(Ed io lo soffro!)
 DIDONE
                                 In lui
 invece d'un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò; per suo consiglio io t'amo.
 Se credi menzognero
1070il labbro mio, dillo tu stesso. (Ad Enea)
 ENEA
                                                       È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de' Mori
 altro merto non v'è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No, Iarba; in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto.
1075Amo quel cor sì forte,
 sprezzator de' perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio, regina. (S’alza)
 Basta che fin ad ora
1080t'abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi per un momento.
 (Comincia a vacillar). (Enea torna a sedere)
 ENEA
                                           (Questo è tormento!)
 IARBA
 Troppo tardi, o Didone,
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
1085donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena, o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta.
 A più gradito laccio amor pietoso
1090stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (Si leva agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira, Enea?
 ENEA
 E che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
1095Vuoi darti al mio rivale,
 brami che tel consigli,
 tutto faccio per te. Che più vorresti?
 Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia.
 DIDONE
1100Odi; a torto ti sdegni. (S’alza)
 Sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo, intendo,
 io sono il traditor, son io l'ingrato;
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio;
1105ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti.
 IARBA
               Lascia che parta. (S’alza)
 DIDONE
                                                I sdegni suoi
 a me giova placar.
 IARBA
                                    Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
1110D'imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Già che vuoi, tel dirò; perché non t'amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace
1115più che Iarba fedele Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi?
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
1120So che un barbaro sei né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l'avrai da me.
 
1125   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l'inganno
 quel barbaro da te. (Parte)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE sola
 
 DIDONE
 E pure in mezzo all'ire
1130trova pace il mio cor. Iarba non temo,
 mi piace Enea sdegnato ed amo in lui,
 come effetti d'amor, gli sdegni sui.
 Chi sa? Pietosi numi,
 rammentatevi almeno
1135che foste amanti un dì, come son io,
 ed abbia il vostro cor pietà del mio.
 
    Va lusingando amore
 il credulo mio core;
 gli dice: «Sei felice»;
1140ma non sarà così.
 
    Per poco mi consolo;
 ma più crudele io sento
 poi ritornar quel duolo
 che sol per un momento
1145dall'alma si partì.
 
 Fine dell’atto secondo